L’approfondimento tecnico sulla Cessione del Quinto, sulla Retribuzione e Cassa Integrazione.
In questo periodo di emergenza COVID-19 si sono toccati molti argomenti inerenti alla gestione delle Risorse Umane pensando, ad esempio, allo Smart Working.
Insieme a David Trotti, co-fondatore di Professione Personale, trattiamo in maniera concreta ed operativa la gestione del quinto dello stipendio, sia in condizioni di normale riduzione di lavoro sia a seguito alla Cassa Integrazione anche in deroga.
Introduciamo un argomento concreto di cui si parla poco nelle riviste e nelle testate principali ossia la gestione del quinto dello stipendio soprattutto in questo periodo a causa del coronavirus.
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Il quinto dello stipendio è un elemento che incontra tantissime problematiche di tipo operativo. E’ regolato da un DPR del 1950 il n. 180 che ne delinea tutti gli elementi. Il DPR 180 era nato per la pubblica amministrazione ma è stato successivamente allargato al privato.
Ma di che cosa parliamo?
Parliamo della possibilità che il lavoratore ha di delegare il pagamento di un suo debito attraverso la retribuzione. Questa delega non può andare oltre il quinto dello stipendio e per questo si parla di cessione del quinto.
Vi è subito da dire che esiste una regola che la legge prevede è quella che se la riduzione della retribuzione non è superiore al 70%, cioè se abbiamo una retribuzione che è al 71%, 72% rispetto a quella ordinaria non c’è nessun elemento di diversità e la gestione rimane ordinaria ossia fino al 70% della retribuzione ottenuta dal lavoratore rimane tutto invariato e continueremo a togliere il quinto o, se minore, la cifra concordata.
Se invece abbiamo una riduzione superiore per cui la retribuzione erogata scende al di sotto del 70% di quella ordinaria, il quinto viene automaticamente riproporzionato (fino alla possibilità che questa trattenuta possa essere sospesa, ma lo vedremo più avanti).
Ad esempio, proviamo ad immaginare una retribuzione di 1000 euro netti e quindi con un massimo di 200 euro di cessione del quinto. Bene, se per un motivo qualunque il nostro lavoratore dovesse ricevere ad esempio 600 euro (per assenza ingiustificata o per qualunque altro motivo previsto dalla norma), in questo caso potremo andare a calcolare una cessione massima di 120 euro.
Questo è quello che avviene normalmente ma, nel nostro caso, ci occupiamo della coesistenza tra retribuzione e cassa integrazione, quindi un aspetto meno indagato e importante.
Perché è un elemento di difficoltà?
Iniziamo con il dire che le somme che provengono dalla cassa integrazione non sono “retribuzione”, ma sono elementi di sostegno al reddito e hanno quindi natura, in qualche modo, previdenziale e quindi dovremo andarci ad occupare di quale sia il regime da applicare.
Anche in questo caso dobbiamo fare ulteriori considerazioni a monte perché il discorso è semplice se ci si trova nel caso di cassa integrazione a zero ore e il datore di lavoro non anticipa e quindi paga direttamente l’ Inps.
In questo caso non ci sono particolari problemi, perché questa fattispecie riguarda il lavoratore, l’INPS e la finanziaria o il creditore. I casi invece che ci interessano sono quelli delle anticipazioni da parte del datore di lavoro oppure della compresenza tra retribuzione e cassa integrazione sempre in relazione all’anticipazione del datore di lavoro per il fatto che il lavoratore non è posto in cassa a zero ore ma in orario ridotto.
Quindi ci occupiamo del caso in cui il datore di lavoro anticipa la retribuzione, completamente o parzialmente.
Qui c’è un elemento procedurale importante da tenere in considerazione.
Come detto poc’ anzi, siccome non si tratta di vera e propria retribuzione in senso classico, a nostro avviso va richiesta l’autorizzazione specifica al lavoratore per trattenere le somme su questa parte.
In questo caso diventa, inoltre, importantissimo vedere il contratto di cessione perché se il lavoratore ha già dato l’autorizzazione alla finanziaria e di conseguenza al datore di lavoro a trattenere somme anche previdenziali il datore di lavoro provvederà a fare le ritenute in maniera consueta, solo verificando se ci troviamo sopra o sotto la soglia del 70% (tra integrazione CIG e retribuzione) con tutte le eventuali conseguenze di cui abbiamo già parlato.
Quindi, se il lavoratore ci autorizza e ci troviamo nel caso in cui la CIG sommata alla retribuzione è superiore al 70% della retribuzione ordinaria applicheremo quanto hanno concordato le parti, sempre con il limite del quinto, se invece questo elemento è inferiore, cioè siamo al di sotto del 70% qui possiamo riproporzionare tranquillamente le somme.
Importante è comunque, a nostro avviso, avvisare la finanziaria per un principio di correttezza e buona fede per tutta una serie di elementi, tra cui alcuni impegni che ci potremmo essere presi attraverso l’atto di benestare.
Suggeriamo quindi di avvisare la finanziaria che “…dal giorno X al giorno Y il lavoratore tizio sta utilizzando gli ammortizzatori sociali e si trova in regime dii sospensione o riduzione di lavoro e quindi subirà un abbattimento della retribuzione”.
Dalla nostra esperienza ci risulta inoltre che, spesso, nei contratti che regolano la cessione del quinto dello stipendio, qualora si verifichi un abbattimento al di sotto al 70% della retribuzione rispetto a quella ordinaria, ossia se lo stipendio e la cassa integrazione sommati scendono sotto il 70% della retribuzione ordinaria il contratto di cessione viene sospeso.
Pertanto, anche questo è un elemento importante che raccomandiamo di verificare!
Che cosa può succedere quindi se interviene la sospensione?
In questo caso la società titolare del credito ci invierà una lettera in cui ci dirà che il piano di ammortamento passa dalla scadenza originaria alla nuova scadenza in base al periodo di sospensione.
Teniamo presente che ci possano essere anche essere delle polizze all’interno della delle previsioni di rischio legate ad alcune occorrenze che possono accadere al lavoratore e quindi dovremmo anche verificare se c’è qualche polizza e cosa prevede.
Un altro elemento di analisi, seppure residuale in termini di frequenza è il caso del pignoramento.
In questo caso non cambia niente, dobbiamo e dovremo fare ovviamente quello che sarà stato disposto dal giudice delle esecuzioni con tutti i limiti previsti dalla norma (fino ad un quinto o in compresenza di cessione fino alla metà).
Una domanda che ricorre è relativa al cosiddetto “minimo vitale”, cioè alla esistenza o meno di una somma sotto alla quale non si può andare.
La risposta è NO. Per gli stipendi non esiste mentre è presente per le pensioni.
Con questo ultimo aspetto chiudiamo l’argomento e rimaniamo a disposizione per qualunque chiarimento sia via mail che attraverso tutti social dove siamo presenti.